lunedì 22 marzo 2010

Gli anni 70, la maternità e tre libri

Fino a metà degli anni 70 se eri incinta ti sposavi, salvo eccezioni. Anche se eri una Compagna che metteva in discussione le fondamenta della famiglia, anche se stavi con uno che aveva la barba come Guccini o le perline al collo come Jimi Hendrix Il sistema patriarcale e sessista era forte e robusto, e i Compagni non facevano eccezione.
Gli abiti premaman erano pensati per mascherare la pancia, la parola “parto” era considerata sconcia, a “incinta” si preferiva “stato interessante” e  il corpo femminile gravido non aveva alcuna attrattiva.
 Ma soprattutto non potevi resistere al trascorrere la gravidanza seguendo la prassi: ginecologo, esami periodici, ospedale, sala parto. Il tuo corpo saliva su un tapis roulant già preallestito. Anche quando il movimento delle donne prese forza, e mise  al centro del proprio  lavoro di autocoscienza  il corpo,  anche quando si leggeva “Noi e il nostro corpo”, anche quando si diceva Riprendiamoci il corpo, oppure La pancia è mia e la gestisco io, la maternità restò fuori.
In fondo fare un figlio significava uscire dal movimento, uscire dall'impegno politico, dall'emancipazione. L'emancipazione era rappresentata piuttosto dal diritto al lavoro, dal rifiuto del dovere morale di fare la madre, dagli anticoncezionali e dall'aborto legalizzato. Questi erano i temi.
Se fossi una storica potrei forse ricostruire le tappe del percorso. Ma non lo sono, e inoltre ero giovanissima. So però che arrivarono due libri, “Riprendiamoci il Parto” e “Per una nascita senza violenza”.
E non arrivarono invano.

giovedì 18 marzo 2010

A proposito del parto

Gironzolando in rete, ho trovato alcuni blog di mamme o future mamme che discutono di epidurale. Ora, l'argomento mi preme, perchè mi sento responsabile di quello che lasciamo in eredità, e poi prima di essere una nonna sono stata una semplice madre (ora direi che sono una madre elevata al quadrato).
Ecco l'annosa questione: le donne devono o no partorire con dolore?? Gira e rigira, sempre qua siamo.....
Le donne hanno diritto a potere accedere alla epidurale, se lo desiderano, senza il limite posto da questioni economiche o operatori insensibili, e va bene. Ma è tutta qua la conquista che la modernità offre alla donna che si appresta a mettere al mondo un figlio?
Le partorienti hanno diritto ad essere assistite da persone sensibili e preparate, in grado di fare da sponda all’uragano interiore che stanno attraversando. Hanno diritto ad essere sostenute in un percorso che non è solo fisiologico ma esistenziale, in una situazione che le faccia sentire forti e fiduciose nelle proprie capacità. Hanno diritto a partorire in un ambiente bello e sereno, a casa propria se lo desiderano.

Hanno diritto anche a sapere che un parto con l’epidurale sarà probabilmente maggiormente assistito (flebo, monitoraggio continuo, oxitocina). E che aumenta la probabilità di interventi meccanici. Insomma, che la partoriente sarà ben poco padrona della situazione, e che questo ha un costo.... se non sei padrona della situazione, se non sei padrona del tuo corpo.... di riffa o di raffa la paghi.
Porre la questione in termini di “dolore sì o dolore no” non è solo riduttivo, è anche fuorviante. Personalmente penso che il dolore sia funzionale e utile per superare quella gran prova che è il parto, ma questa è la mia opinione, legata alla mia esperienza, e non vorrei sembrar fanatica.