venerdì 19 agosto 2011

Piccolo mondo antico


La mia amata ostetrica Fulgeri nel primo dopoguerra ottenne la Condotta nel piccolo paese di montagna dove poi passò la vita. Le donne allora usavano partorire circondate da altre donne. La suocera, le amiche della suocera e le anziane si radunavano nella stanza della partoriente e aspettavano  che il travaglio andasse avanti. Poi quando era il momento aiutavano la donna e lavavano e fasciavano il bambino. Se c’era qualcosa che non andava, mandavano a chiamare l'ostetrica. La Fulgeri riuscì, con le buone e con le cattive, a convincerle che era meglio chiamarla subito, e non quando ormai era troppo tardi. Ma non si accontentò di questo.
Sapeva che una donna che sta partorendo ha bisogno di sentirsi libera, a suo agio, e mi diceva "vuoi mai che una sposina giovane potesse sentirsi a suo agio in mezzo a tutte quelle donne ignoranti? Con la suocera poi? Ma una volta non era mica come adesso, una donna non poteva mica fare quello che pareva a lei.... Entrava in una famiglia, quella del marito, e sapeva già quale doveva essere il suo posto. Non poteva mica fare di testa sua".
Insomma l'usanza era l'usanza, e se una donna si fosse azzardata a mandare via quell' accrocchio di donne durante il suo travaglio, ne sarebbero venute fuori delle questioni famigliari spinosissime.
Ma se una donna non si sente a suo agio, diceva sempre la Fulgeri, il parto si ferma e iniziano le complicazioni.
Così inventò un sotterfugio: iniziò a dire che lei era timida e si vergognava a lavorare davanti a tutte quelle donne, e le fece uscire. Nel giro di qualche anno l'usanza cambiò, e le donne iniziarono a partorire insieme all'ostetrica, e basta.

Perché racconto tutto questo? Perché ogni volta che intravedo la mistica del bel mondo antico in cui le donne avevano la fortuna di essere circondate dalle donne della famiglia e del paese, che la sostenevano nel delicato momento del parto, mi viene in mente questo racconto della Fulgeri. E penso che "donne è bello" se le donne te le scegli tu,  e che la libertà è una cosa preziosa.
Mi viene in mente che negli anni 70 il femminismo ha messo in discussione i ruoli imposti e la famiglia così come era, oltre  alla sessualità subordinata al piacere maschile.
Mi viene in mente che una delle ragioni per cui il parto in ospedale diventò allettante fu la garanzia di non avere il fiato sul collo di suocera, madre e impiccione varie. Ne ho sentiti tanti di racconti così..
Sì, essere circondate di donne può essere meraviglioso, se quelle donne sono quelle che desideri. Così come può essere meravigliosa la libertà di dire: fuori tutte.
Se mi volto indietro, non vedo un'epoca felice per gestanti, partorienti e puerpere, anzi sento subito che il respiro mi diventa affannoso per mancanza di ossigeno.  Le donne che oggi partoriscono in casa, se apparentemente fanno una scelta retrograda e nostalgica, in realtà rispondono in modo nuovo a un'esigenza che ha poco di nostalgico
Avere la sovranità sul nostro corpo vuol dire anche ricordare la fatica che abbiamo fatto per arrivare fin qua.

Raccontare


Folon

Narrare e ascoltare storie sono sempre stati bisogni fondamentali di noi umani
Tutte le volte che mi chiedono "cosa si può dire alle donne in gravidanza che hanno paura di partorire?" io rispondo sempre che c'è un gran bisogno di racconti. Racconti di parto fatti in prima persona, orali, scritti, letti....che servono a chi li dona e a chi li riceve. Una sorta di "pedagogia della narrazione" applicata a quella speciale esperienza che è dare alla luce un figlio.
Per chi dona, tradurre in parole il proprio vissuto lo fa vivere di nuova vita, lo allontana facendolo diventare una storia, aiuta a prenderne le distanze.  Allo stesso tempo lo riavvicina, facilitando il ricordo. Ricordare significa letteralmente“riportare al cuore”. I ricordi possono essere struggenti, commoventi, dolorosi, strazianti, teneri, ridicoli…...però  portano sempre con sé un’emozione e sono vivi.
Per chi riceve il dono, ascoltare la storia di un parto, felice o drammatico che sia stato, permette di immedesimarsi, di entrare nella concretezza dell'esperienza.  Una storia arriva dove nessun discorso astratto potrà mai arrivare.

A questo proposito segnalo il blog Il mio parto che frequento spesso

martedì 16 agosto 2011

All you need is love


La salute primale può essere definita come la salute del periodo perinatale. Secondo le ricerche del “Primal Health Research Center”, la salute dell’essere umano si forma nel corso del periodo primale che va dal concepimento al primo anno di vita. Significa che le modalità del concepimento, della gravidanza, della nascita, dei primi istanti di vita del neonato, della lattazione e della interazione del bimbo con la madre fino a circa il suo primo compleanno, hanno rilevanti effetti a lungo termine nel bambino e, più tardi, nell'adulto.
Risultati delle ricerche?
La mamma ha bisogno di essere lasciata tranquilla. Ha bisogno di essere rispettata nelle sue esigenze, e che sia rispettato lo spazio intimo tra lei e il suo bambino. Il bambino ha bisogno di essere accolto con amore, ha bisogno del corpo della sua mamma e del suo latte. Entrambi hanno bisogno uno dell'altro.
All you need is love.

domenica 14 agosto 2011

Non facciamo dell'ideologia


La vulgata poetica del "naturale" vuole che nel bel tempo che fu, le partorienti fossero libere dagli artigli dei medici e, circondate dall' amore femminile delle comari, dessero alla luce neonati rosei e sani, senza lamenti.
Intendiamoci, ho partorito in casa tre volte, circondata da diverse persone tranne i medici e sono state sempre esperienze straordinarie. Sono una doula e convinta assertrice dei danni dell'eccesso di medicalizzazione.
Detto questo però, cerchiamo di non fare dell'ideologia, che non se ne sente alcun bisogno.
Il parto non è diventato doloroso nel momento in cui sono intervenuti gli uomini con tecniche invasive: il parto è diventato doloroso quando a noi umani è cresciuto il cervello e ci siamo messi in posizione eretta, con conseguente modificazione del bacino. Che poi alcune culture abbiano saputo favorire il processo del parto mentre altre non hanno fatto altro che ostacolarlo, è un altro discorso.
Non ci sono stati i bei tempi in cui le donne partorivano felici e senza dolore, e la naturalità non preserva sempre da ogni male. Chi ne avesse voglia e fosse munito di un buon pelo sullo stomaco, può leggersi la storia del medico Francois Sacombe per togliersi ogni dubbio. Le donne un tempo avevano paura del parto ben più di oggi, e l'ignoranza diffusa tra mammane e suocere non giocava certo a favore di parti migliori. La mia osterica, saggia donna, lo sapeva molto bene.
Personalmente credo sia necessaria una cultura del corpo e della nascita che sia fatta di rispetto e amore per la madre e il suo bambino. Credo che quella di partorire sia una competenza femminile che va tutelata, rafforzata e in un certo senso riformulata. Però non volgendosi a un bucolico passato che non è mai esistito, piuttosto guardando avanti e ricordando che non siamo più le stesse donne di un tempo.

mercoledì 3 agosto 2011

Il ruggito della mamma tigre

Sto leggendo "Il ruggito della mamma tigre" di Amy Chua. L'autrice racconta la propria vita di figlia di immigrati cinesi negli Stati Uniti, mettendo al centro dell’autobiografia le differenze culturali nei rapporti genitori-figli e nello stile di educazione, fra asiatici e americani. Mi aspettavo un moto di indignazione ad ogni pagina, orripilata dall'educazione patologicamente autoritaria, modello campo di rieducazione maoista che mi si era prospettata leggendo le recensioni.
In realtà è un bellissimo libro, che trasuda autoironia e coraggio e affetto materno. In fondo Amy parla di tutte noi madri, piene di fissazioni, di idee irrinunciabili sul modo giusto di far crescere i nostri figli. Lei è estramamente autoritaria, e un'altra magari è estremamente permissiva, ma il succo è che è utile sapere che ci sono altri approcci, altri punti di vista, e che è utile confrontarcisi.
E' un punto di vista inusuale quello di Amy, questo sì, molto spesso non condivisibile, ma sempre arguto. Aiuta a pensare e a prendersi meno sul serio.