giovedì 11 aprile 2013

Tutto parla di noi



I figli non appartengono alla madre, diceva il grande Khalil Gibran.
I figli non appartengono alla madre e nemmeno alla coppia che li ha generati. Non appartengono a nessuno se non a loro stessi,  e fanno parte della collettività, dunque un pochino sono figli di tutti.
Questo è uno dei pensieri che mi hanno attraversato la mente mentre guardavo Tutto parla di te di Alina Marazzi. Non tanto seguendo la storia principale, ma guardando quelle immagini di sfondo,  che sembrano quasi casuali:  la mamma che aspetta l'autobus con una mano appoggiata al passeggino, quella che attraversa la strada in mezzo alla folla con il bebè nella fascia, quella che avanzando sul marciapiede spingendo la carrozzina ne incrocia un'altra che cammina in senso contrario. In poco più di ottanta minuti di film, abbiamo visto un concentrato di neonati aggirarsi nelle strade, li abbiamo visti emergere come fossero stati imbevuti di un liquido rivelatore. I neonati sono tra noi, ci guardano e ci riguardano, nessuno dovrebbe sentirsi esente da questo sentimento.

Le madri che li portano nel ventre, che li partoriscono, li nutrono e li accudiscono a stretto contatto con il proprio corpo fino a quando non fanno i primi passi, vivono invece come in un universo a parte, come se fossero uscite dalla collettività, esiliate. Lo raccontano dolorosamente tante donne nel film. Il mondo intorno aspetta che tornino alla normalità e nel frattempo le giudica, dispensa consigli e le guarda senza vederle.
Un tempo, quando c'erano le grandi famiglie e la società era meno urbanizzata, le donne che avevano già esperienza circondavano quelle che diventavano madri, le quali certamente così si sentivano poco sole, e ogni nascita era fortemente vissuta come un evento che riguardava la collettività.
Eppure non dobbiamo fare l'errore di idealizzare il passato. C'erano codici  molto precisi da rispettare, regole che la giovane sposa,  presto madre,  doveva seguire. Entrava nella sua nuova vita sapendo bene qual'era il suo posto e non poteva fare le cose di testa sua. Mica che la suocera o la cognata si mettevano accanto a lei e montessorianamente le chiedevano "tu come faresti cara....?". Se poi restava incinta senza avere un uomo che l'avrebbe sposata, diventava una reietta. Nel film è inserita una pubblicità di littoriana memoria, dove si spiegava alle donne come compiere virtuosamente la propria missione di madri, e non c'era spazio per desideri personali o sentimenti ambivalenti. Se lo sfinimento, le lacrime e i cattivi pensieri non cessavano in fretta, la sciagurata veniva isolata nella stanza più inaccessibile della casa, oppure rinchiusa in manicomio. Ricordo bene un'amica che aveva la mamma chiusa da anni in una stanza ricavata dalla soffitta, le portavano da mangiare perchè non scendeva nemmeno in cucina e fuori casa non  la si vedeva mai, era vergognoso persino parlare di lei.
Oggi le donne sono cambiate e la società è cambiata. Dobbiamo escogitare, e infatti lo stiamo facendo, nuovi modi per comunicare, per darci ascolto e supporto reciproci. Ma la maternità, quella dei primi tempi soprattutto, pare essere incagliata in un mondo a parte. Se ne parla solo tra "addetti ai lavori": ostetriche, psicologhe, gruppi che del sostegno alla maternità hanno fatto una professione, doule, mamme tra mamme. Ma il tema non riesce ad entrare nella cultura con la C maiuscola, sembra destinato ad essere relegato in luoghi pensati per questo uso, oppure tra le pareti delle cucine di casa.
Anche per questo ieri sera ho provato un piacere immenso. Tutto parla di te lo si è guardato al cinema Lumiere, e sempre al Lumiere se n'è parlato. La sala era così piena che molta gente è rimasta fuori, e hanno fatto una seconda proiezione.

Il racconto di Alina Marazzi si snoda tra le ambivalenze del sentimento materno, della depressione post-parto, di quello scoramento che ti prende quando non dormi più la notte, quando ti sembra di non sapere rispondere al pianto del bambino, quando ti vedi brutta e scialba, quando non hai la forza di fare le piccole cose quotidiane, quando tutto ti costa fatica, quando ti senti una cattiva madre, quando hai dei sentimenti aggressivi nei confronti del tuo bambino, quando senti l'impulso di fargli del male.
E' importante accettare l'idea che la vita è fatta di sentimenti contrastanti, anche e soprattutto quando diventiamo madri, non dobbiamo respingerli per paura. L' impotenza, la fragilità, la frustrazione, il senso di colpa, la rabbia, sono tutti aspetti della nostra condizione di esseri umani. Non lasciare sole le madri non deve coincidere con il tentativo di rimuovere questi sentimenti. Perderemmo il senso del miracolo che ogni nuova vita porta con sè, che è fatto anche di smottamenti interiori, e finiremmo dritti dritti nello stereotipo fasullo e ideologico della madre solo felice e fiera del suo operato. A perfetta imitazione della mamma della casa delle bambole, nella bellissima animazione che c'è all'interno del film.

Mi sono identificata un po' nella figura di Pauline, pur non avendo alle spalle una storia tragica come la sua.
Pauline frequenta un centro dove vanno le donne che stanno diventando madri o lo sono appena diventate. Le osserva, ascolta i loro racconti ma resta sempre laterale, non è animatrice di alcun gruppo, non è specializzata in niente. Avvicina la giovane Emma e la frequenta fuori da questo posto, si vedono al bar, camminano insieme per la strada, entra in casa sua. La porta anche a vedere i camaleonti e le tartarughe, e sorridono insieme osservandoli nelle teche di vetro.
Ho sentito dentro la mia pelle la narrazione di tutta quella fatica materna raccontata senza enfasi, l'ho sentita così tanto che mi sono quasi commossa a guardare gli animaletti zampettare, teneramente vivi, fuori dal tunnel  opprimente in cui Emma e tante altre sono intrappolate.



Il 10 aprile a Bologna Tutto parla di te è stato presentato in anteprima dalla Cineteca, in collaborazione con BIM, Associazione Mammadoula, Casa maternità Il Nido e Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna.
Alla fine della proiezione è seguito un dibattito tra Alina Marazzi, Annamaria Tagliavini (direttrice Biblioteca Italiana delle Donne), Marzia Bisognin ovvero me medesima, Maria Mazzoli (giovane mamma di cui sono stata doula), Annalisa Pini (ostetrica della Casa Maternità Il Nido) e Anna Frigerio (psicologa).






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