giovedì 26 ottobre 2017

Il panorama è cambiato. Venire al mondo grazie alle biotecnologie.



Articolo pubblicato in La donna che genera a cura di Gabriella Falcicchio, Quintadicopertina 2016 

Cercare un’immagine per corredare un articolo, un evento o un semplice post su Facebook è sempre un lavoro che richiede tempo. Quando mi è capitato di farlo per il tema della Procreazione Medicalmente Assistita (d’ora in poi PMA) sono arrivata a un particolare del Giardino delle Delizie di Hyeronimus Bosch. Si vede una coppia dentro quella che sembra una cellula, un ovocita, con i due soggetti in stretta relazione tra loro, che si toccano reciprocamente, e ci sono dei filamenti guizzanti come spermatozoi che irrorano la cellula. Ogni procreazione assistita avviene fuori dall'intimità dell'amplesso, e nel dipinto ci sono altre presenze intorno alla coppia, una testa che esce dall'acqua e osserva i due dentro all’ovocita e una persona abbracciata a un gufo, che in tante culture è simbolo di nascita.
A dirla tutta, non sapevo che quella scena rappresentasse il peccato originale, ma quando l’ho saputo, mi è sembrata una metafora perfetta.
Il peccato originale altro non è che il momento in cui l'umano decide di mangiare dall'albero della conoscenza. Così inizia la fatica del vivere fuori dal giardino dell'Eden, ma inizia pure la conoscenza, che prima era appannaggio solo di Dio.
Fino a pochi decenni fa non c'erano molti modi per venire al mondo. Gli esseri umani incominciavano la loro avventura e crescevano nel mistero del ventre materno, in seguito a un rapporto sessuale che poteva essere stato più o meno piacevole e più o meno desiderato. Il controllo delle nascite era piuttosto empirico, i figli arrivavano come una benedizione del cielo, come uno incidente imprevisto o come una maledizione. Si sperava che arrivassero abbondanti o si pregava che non ne arrivassero più, oppure si pativa l’infamia della sterilità. Ci si affidava al caso o alla volontà di Dio.
Oggi, i nuovi scenari resi possibili dalla medicina e dalle biotecnologie hanno permesso di separare la procreazione dalla sessualità. Ovvero possiamo avere rapporti sessuali senza procreare grazie all’uso di contraccettivi sicuri, e possiamo procreare senza avere relazioni sessuali, grazie alle tecniche di PMA. L’unica certezza a oggi immutata è che la vita ha bisogno del corpo della donna per vedere la luce. Possiamo fare incontrare i due gameti in una provetta, possiamo forzare il loro incontro iniettando lo spermatozoo pigro direttamente dentro l’ovocita, possiamo far crescere l’embrione dentro l’utero di una donna con cui non condivide nemmeno un’elichetta di DNA e che non gli sarà madre nella vita, possiamo creare le condizioni per far sopravvivere questo grappolo di cellule per 13 giorni, possiamo completare le ultime settimane di gravidanza dentro un’incubatrice. Ma siamo ben lontani dalla capacità di riprodurre quell’organo meraviglioso e sofisticatissimo che è la placenta, e se non ci fosse un utero che per nove mesi accoglie e nutre questa promessa di vita, tutto finirebbe lì.  Anche se nell’immaginario è avvenuta una progressiva separazione tra la madre e il feto, rappresentato come un cosmonauta nel suo universo asettico nelle mille immagini che possiamo comodamente vedere su You Tube, anche se tante donne soffrono la sfiducia nelle proprie capacità di essere procreatrici e nutrici della prole, il corpo delle donne resta indispensabile per far nascere i bambini.  
E’ successo in fretta, pochi decenni ed è cambiato tutto. 
Dagli inizi degli anni 60 la pillola contraccettiva si è diffusa negli Stati Uniti e nel 1971 in Italia ha potuto essere commercializzata, non senza polemiche sui danni morali che avrebbe portato la separazione tra il piacere erotico e la trasmissione della vita: la contraccezione artificiale avrebbe distorto la natura del sesso e favorito la promiscuità.
Oggi la pillola è utilizzata da più di cento milioni di donne nel mondo[1]; ha cambiato, e continua a cambiare, il loro ruolo nella società. Senza contraccettivi sicuri non avremmo tante pianiste, tante avvocate, tante ragazze iscritte all’università, tante madri scanzonate. Milioni di donne sono piene di grilli per la testa e possono godere dei piaceri della carne senza ritrovarsi necessariamente a essere cenerentole del focolare con una nidiata di figli da crescere.
Nel 1978 in Inghilterra è nata Louise Brown, la prima bambina concepita in provetta, come si diceva allora. Finì giustamente sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, stava iniziando l’avventura tecnologica riproduttiva.  Si parlò di miracolo della scienza, ma anche di evento che avrebbe avuto gravi conseguenze per l’umanità.
Oggi sono circa cinque milioni[2] i bambini nati come Louise, la quale nel frattempo è diventata mamma.
Impossibile dire invece quanti bambini siano nati con la maternità surrogata (o Gestazione Per Altri, GPA), non ci sono dati certi.  E’ la pratica che al momento più smuove le nostre coscienze, al centro di un dibattito accesissimo in questi ultimi mesi in Italia: una donna porta avanti la gravidanza per conto di aspiranti genitori, che possono essere coppie o single, sia eterosessuali che omosessuali. E’ una pratica sempre esistita nella sua forma “tradizionale”, se ne parla anche nella Bibbia. Quello che le tecniche PMA permettono oggi è che una donna porti avanti la gestazione di un embrione formato in vitro. I gameti possono essere entrambi degli aspiranti genitori, oppure di uno solo o provenire entrambi da donatori.
A chi come me è stata bambina quando la luce elettrica non era arrivata in tutte le case dei contadini e si teneva il pitale sotto il letto perché per andare al gabinetto bisognava attraversare il cortile di casa, sembra di stare in un film di fantascienza.
A chi è stata giovane quando essere femminista significava autogestire la propria salute e sentirsi padrona del proprio corpo, sembra ci si stia consegnando nelle mani della biotecnologia, riducendo il corpo femminile a un ambiente uterino per l’approvvigionamento del feto.[3]
A chi pensa che la natura sia armoniosa e giusta per definizione, sembra di attentare ai fondamenti stessi dell’esistenza umana.
A chi non ha mai pensato che la natura fosse buona e materna bensì potente e minacciosa, e ha sempre anelato a un vigoroso corpo a corpo con essa, sembra si stia perdendo qualcosa di preziosamente arcaico.
Eppure.
Eppure come non essere affascinati dalla capacità umana di spostare i propri limiti procreativi, proprio come per l'invenzione della scrittura che ci consente di conservare la memoria e di trasmetterla, come per l’invenzione dell’agricoltura, del telefono e di internet, della pillola contraccettiva, delle protesi bioniche per chi si trova mutilato a causa di un incidente, e degli occhiali che in questo momento mi permettono di leggere quello che sto scrivendo.
Tutte le solide certezze cui eravamo abituati ad appoggiarci per comprendere la vita si stanno facendo friabili. Il panorama è cambiato, che ci piaccia o no, e da qui dobbiamo partire, nutrendo il pensiero critico con le storie dei vissuti delle persone, perché dietro le tecniche di procreazione assistita, dietro le Fivet, le omologhe, le eterologhe, le ICSI, le crioconservazioni e le maternità surrogate ci sono donne, uomini, bambine e bambini; ci sono sentimenti, desideri, speranza, coraggio, gioia e dolore.

Per PMA si intende l’insieme di tutti quei trattamenti per la fertilità nei quali i gameti, sia femminili (ovociti) che maschili (spermatozoi), vengono trattati al fine di determinare il processo della fecondazione. Queste tecniche sono indicate nei casi in cui il concepimento spontaneo è impossibile o estremamente remoto. Possono essere farmacologiche, ormonali e chirurgiche, sono tante e perlopiù sconosciute a chi non è nel campo, per cui succede di avere bisogno di un glossario anche solo per comprendere un articolo di giornale.
Avevo dieci anni quando Farah Diba fu incoronata Imperatrice di Persia e la cosa che ricordo di più, oltre allo strascico tempestato di pietre preziose del suo vestito, è il racconto che Soraya, la moglie precedente dello Scià, era stata ripudiata perché non poteva avere figli. Ripudiata. Mai avevo sentito quella parola.
Ancora oggi non generare figli, quali che siano le cause, rientra nel novero delle colpe, anche se abbiamo ripulito il nostro vocabolario da certe parole troppo crude. La condizione dell’essere senza figli a volte è una scelta, giudicata perlopiù male dai saputelli di turno, ma altre volte è una mancanza dolorosa e inaccettabile a cui si cerca di porre rimedio.[4]
Le tecniche che riproducono la vita fuori dal corpo, ovvero in vitro che poi è la vecchia provetta di Louise Brown, sono estremamente complesse e invasive, soprattutto per le donne che possono avere ripercussioni pesanti sulla propria salute.  L’iter a volte è molto lungo, con alte percentuali d’insuccesso, molto pesante economicamente e costellato di scelte difficili, come valutare la possibilità di gravidanze multiple o di danni al bambino. Sono sempre avventure monopolizzanti, che richiedono ostinata determinazione, e che possono causare profonda sofferenza nel caso in cui non vadano a buon fine.
Per farsi un’idea dei numeri, nel 2013 in Italia le coppie trattate sono state 71741, le gravidanze ottenute 15550, 12187 i bambini nati vivi (ovvero il 2,4% del totale dei bambini nati nel 2013).[5]
L’informazione è carente, per cui chi decide di imboccare questa strada impervia spesso non ha consapevolezza di cosa l’aspetta, non trova facilmente spazi per riflettere e dispiegare i tumulti interiori, per intercettare i propri bisogni e comprenderli. Deve arrangiarsi ad agguantare notizie per orientarsi nel labirinto delle normative e farsi un quadro dei pro e dei contro. E per fortuna c’è internet.
A questo si aggiunge il fatto che la fecondazione assistita divide tuttora la società, e soprattutto divide profondamente le donne, già divise tra chi è madre e chi non lo è. Per usare le parole di un uomo, padre di due gemelle nate con un percorso di PMA “la fecondazione assistita va a sezionare, medicalizzare il mito della maternità, straccia il velo che occulta i limiti di una capacità generatrice di vita che per molte è motivo fondante di esistenza, oltre che produttrice di potere sul mondo. Ho quindi l’impressione che molte donne, non necessariamente retrograde, non necessariamente stupide né bigotte, continuino a voltarsi dall’altra parte di fronte a qualcosa che le costringe a misurarsi con la possibile caduta di una personale rappresentazione mitica, arrivando spesso ad assumere atteggiamenti tra la superiorità e la commiserazione o addirittura la condanna, nei confronti di quelle loro congeneri che hanno fallito la prova della maternità naturale”.[6]
Dobbiamo smetterla di avvolgere queste storie nel sortilegio malvagio dell’invisibilità, dobbiamo imparare ad accogliere queste esperienze senza che si viaggi su treni diversi e con i finestrini oscurati: da una parte le donne che concepiscono naturalmente e dall’altra quelle che intraprendono un percorso biotecnologico. Dobbiamo costruire collettivamente una narrazione delle origini che sia rispettosa di chi è nato grazie a queste tecniche.
“Ciao, adesso cerca anzi cercate di stare sereni tu e il tuo lui, te lo dice una che ha già versato litri di lacrime su 3 tentativi di omologa coi propri gameti e che adesso è in procinto di partire con il primo tentativo di ovodonazione in Spagna. Ma tu hai una blasto ancora disponibile? Se le cose dovessero non andar bene adesso magari potrai provare con il transfer di questa blasto disponibile.....io questa possibilità non la scarterei. Ci sono 2 cose che mi hanno colpito del tuo racconto. La prima è che hai fatto un transfer di 3 blasto, cosa altamente sconsigliata da quasi tutte le cliniche per l'alto rischio di complicazioni con un parto plurigemellare, la seconda il fatto della risposta del dottore, si commenta da sola...mio dio che rabbia!!!”.
Questo è un messaggio, uno dei tanti, su un forum di donne dedicato alla PMA. Una donna risponde a un’altra donna, non si conoscono se non virtualmente, e come le altre frequentatrici del forum hanno bisogno di confrontarsi, scambiarsi esperienze, darsi consigli, consolare ed essere consolate.
La prima cosa che ho pensato leggendo questi dialoghi è che se a leggere fosse mia mamma, nata nel 1931, non capirebbe nemmeno di cosa si stia parlando. Non è solo una questione di parole a lei sconosciute, e sicuramente non solo a lei, ma di contesto generale. C’è quel “parto plurigemellare” che identifica sì l’ambito della nascita, sbalzato però da una dimensione intima e tutto sommato avvolta nel mistero, a un’affollata scena in cui sono presenti la coppia di aspiranti genitori, le frequentatrici del forum, i tecnici addetti a un cosiddetto transfer, un medico insensibile, la Spagna e le donatrici di ovociti. L’evento riproduttivo descritto è frammentato in differenti fasi, ognuna delle quali costa speranza, frustrazione e lacrime.
Tutte eseguono lo stesso rituale: gli ormoni, il pick-up, il transfer, l'attesa. Arrivano a conoscere i segnali del proprio corpo con una precisione maniacale e adottano lo stesso oscuro gergo da iniziate. Provano e riprovano, non di rado inutilmente.
E quando per un problema di salute o di altro genere la donna non può portare avanti una gravidanza? E quando a desiderare un figlio è una coppia di uomini? Dovrebbero accettare ciò che per vie naturali è loro precluso? E chi decide quali sono i limiti da accettare e quali è lecito forzare?
20 marzo 2010. Milena Gabanelli apriva la puntata di Report “Google Baby” con queste parole: "Il mercato può dare un prezzo a tutto? La schiavitù era esecrabile perché considerava gli esseri umani come merce da mettere all’asta. Oggi noi come dobbiamo considerare i nostri corpi? Come averi di cui disporre a piacimento? È un interrogativo ampio e controverso che si pone ogni volta che si parla di compravendita di ovuli, spermatozoi o maternità surrogata. Il mercato non si pone interrogativi morali, le storie le risolve fra un soggetto che compra e un altro che vende. Quello che non puoi fare nel tuo paese perché magari la legge lo vieta, lo puoi fare da un’altra parte, dove è legale. Su alcune questioni sarebbe auspicabile che ci fosse una linea internazionalmente condivisa. Negli Stati Uniti, in Russia, in India, si affitta l’utero."
E proseguiva la dottoressa Nayna Patel: "Pratico la fecondazione artificiale nello stato indiano del Gujarat. Negli ultimi tempi pratichiamo anche la gravidanza surrogata. Queste sono alcune delle madri disponibili che lavorano con me. Sono tutte donne molto semplici, disponibili, disciplinate e leali, e anche molto religiose. Fanno questo lavoro con molta dedizione"
Si vedevano donne tristi, simili a schiave in batteria, pietosamente docili, governate da una maîtresse volgare. Tutte svolgevano questa gravidanza clandestinamente dai loro parenti, familiari e vicini di casa, nascoste per mesi, solo il marito ne era a conoscenza. Si vedevano bambini estratti con un cesareo dalla pancia delle donne che li avevano ospitati nei primi mesi della loro vita, e portati via in fretta e furia per essere consegnati a coppie in attesa nell'altra sala, ovvero i genitori biologici ben stirati e ingioiellati. Quei bambini, era chiaro, non avrebbero mai rivisto la donna grazie alla quale erano al mondo, e forse nemmeno avrebbero mai saputo della sua esistenza.
Come tanti, sono uscita da quella trasmissione sconvolta.
Il 2 febbraio scorso si è svolto a Parigi un convegno internazionale per l'abolizione universale della maternità surrogata, a cui è seguito il pronunciamento del Consiglio d'Europa che ha rigettato, con 16 voti contro 14, la risoluzione che voleva legittimare e regolamentare la pratica della maternità surrogata (ma in alcuni paesi europei è legale e regolamentata). La Carta firmata a Parigi dice che “il corpo delle donne è richiesto in quanto risorsa a vantaggio dell’industria e dei mercati della riproduzione, e certe donne acconsentono a impegnarsi in un contratto che aliena la loro salute, la loro vita e la loro persona, sotto pressioni multiple: i rapporti di dominazione famigliari, sessisti, economici, geopolitici.
Infine, la maternità surrogata fa del bambino un prodotto con valore di scambio, in modo che la distinzione tra persona e cosa viene annullata. Il rispetto del corpo umano e l’uguaglianza tra donne e uomini devono prevalere sugli interessi particolari”.
Eppure non è sempre sinonimo di sfruttamento, mercificazione, misoginia, compravendita e costrizione. Ci sono anche tante testimonianze di esperienze belle anziché truci: interviste, libri autobiografici, reportage fotografici, documentari che ci dicono che è possibile e che già succede. Senza enfasi e senza retorica ci raccontano la complessità dei sentimenti e delle relazioni tra tutti i soggetti coinvolti, i duraturi legami di affetto, la trasparenza con i bambini a cui viene detta la verità sull'inizio della loro vita, senza segreti né sotterfugi, e il continuo interrogarsi su cosa è giusto e cosa no.
Certo, la compravendita dei neonati e il bieco sfruttamento economico di donne povere da parte di coppie ricche esiste, e non solo nel campo della maternità surrogata. Ma di questo dovrebbero, devono, occuparsi le leggi. Se si regolamentano queste vicende con leggi ispirate a principi di eticità, di tutela dei diritti e di rispetto della libertà delle persone, forse si può evitare il Far West, dove chi è più prepotente e ricco vince.
In Italia la pratica è vietata. Nel mondo, nella stessa nostra Europa, ci sono paesi in cui la maternità surrogata è permessa ed esiste una legislazione in materia volta a regolare il processo e a tutelare tutti i soggetti coinvolti, paesi in cui è poco regolamentata pur essendo permessa e paesi in cui è vietata. Paesi in cui possono accedere solo coppie eterosessuali e altri in cui possono accedere anche omosessuali e single. Paesi in cui è retribuita, altri in cui è previsto un rimborso spese e altri in cui è permessa solo a titolo gratuito. Paesi che danno la cittadinanza ai bambini, altri che invece no, e paesi dove la pratica è accessibile solo ai propri cittadini (l’India della puntata di Report ha chiuso nel 2015 le porte agli stranieri).
Nel dibattito italiano, tanti che si dichiarano fermamente contrari a questa pratica se remunerata, sono invece favorevoli se la persona che si offre è la madre, una sorella, una cara amica.
“Penso che sia bellissimo che una sorella, un’amica cara, una madre possa farmi il grande dono di portare, nutrire e fare crescere dentro di sé una creatura che sarà mia, se mi trovassi nella triste condizione di non poterlo fare. Il bambino che nascerà riceverà un racconto di generosità che lo impegnerà alla gratitudine, il sentimento più civilizzatore che ci sia. Chi l’avrà messo al mondo resterà sotto i suoi occhi, non sparirà. Parole, gesti, sguardi, intrecci. In questo caso l’utero prestato sarà un’esperienza di bene puro, quello vero, quello disinteressato, che farà crescere tutti coloro che ne sono coinvolti”.[7]
Tuttavia il caso di Novella Esposito ci dice come i confini di ciò che ci sembra lecito possano spostarsi in breve tempo. Novella aveva perso una bambina durante la gravidanza, ebbe gravi complicazioni e le asportarono l’utero e un ovaio. Nel 1993 tentò di avere un figlio grazie all’utero della propria madre. Fu attaccata e biasimata da tutte le parti, da monsignor Ersilio Tonini, dal presidente del comitato di bioetica e dal mondo politico: stava facendo qualcosa d’innaturale e desiderava solo un clone di sé stessa. Sono bastati poco più di vent’anni per vederla diversamente e una madre che si offre di fare la gravidanza al posto della figlia, non per vezzo, già sembra una cosa accettabile e persino bella.
Le testimonianze a cui si può accedere sono spesso di coppie omosessuali, non perché siano soprattutto omosessuali coloro che diventano genitori in questo modo, anzi al contrario, ma perché loro non potrebbero nasconderlo, nemmeno se lo volessero. Così rivendicano la loro scelta, che non nasce da un problema di salute o d’infertilità, e ne parlano con la volontà di condividere la loro esperienza per cambiare il sentire comune. Da parte delle coppie eterosessuali c'è una maggiore riservatezza, o un pudore che a volte sconfina in un senso di menomazione di cui vergognarsi.
Negli Stati Uniti e in Canada le agenzie si occupano di mettere in contatto le coppie con le donne disponibili a portare avanti la gravidanza, ma sono le donne a scegliere la coppia e non recidono i rapporti dopo la nascita. Sono già madri e non sono povere o sprovvedute. Per quanto possa apparire incomprensibile, fanno una scelta. In questi paesi la GPA esiste, se ne parla, ci sono tante donne che la fanno ed è dunque concepibile, una delle tante scelte plausibili che si possono fare. [8]
La regista Delphine Lanson ha seguito la storia di Jérôme e François, e ne ha fatto un documentario. Un lungo e intenso percorso, un intreccio di relazioni con Coleen, quella che io preferisco chiamare madre di gestazione, con il marito e i loro figli.[9] Contrariamente a quello che alcuni credono, non funziona che basta pagare e ti viene consegnato un frugoletto strappato dalle braccia della madre.
I linguisti ci dicono che l'uso di una nuova parola raggiunge il suo apice dopo circa trent'anni dalla sua nascita, praticamente il tempo di una generazione umana, e questo ci dice qualcosa anche rispetto al tempo di assimilazione di nuovi concetti: quello che abbiamo conosciuto da bambini diventa il nostro standard di riferimento, quello che tendiamo a considerare "normale" o perlomeno accettabile. Così ci mancano le parole per definire esperienze tutto sommato pionieristiche, e i termini utero in affitto, madre surrogata o portatrice mi sembrano tutti orribili. Credo che madre di gestazione sia dignitoso e corretto: se possiamo dire che il padre della psicanalisi è Freud o che tutti abitiamo la Madre Terra, non vedo perché dovremmo farci problemi a dire madre di gestazione.
Noi umani trascorriamo nel ventre materno nove lunghissimi mesi, sicuramente non ci immaginiamo di dovere lasciare l’unico mondo che conosciamo, e ci relazioniamo con quel corpo che ci ospita senza la consapevolezza che un giorno quel corpo e quella voce e quel battito cardiaco saranno altro da noi, senza la consapevolezza che lasceremo quella beatitudine. In quei mesi passiamo dall’essere un grappolo di poche cellule al diventare un essere umano, si sviluppano i nostri sensi e il sistema nervoso, sogniamo, ci muoviamo e reagiamo agli stimoli.
Vedo la madre di gestazione come una traghettatrice, più che come una donna che abbandona il figlio. Che lo faccia con amore, prendendo a cuore il bambino che sta nutrendo fisicamente ed emozionalmente nel suo ventre, mi pare sia auspicabile e non così improbabile, come possiamo desumere dalle parole di tante di loro.[10] La maternità surrogata interrompe la relazione cresciuta in nove mesi di gravidanza, ma quel bambino nasce grazie alla madre gestante, grazie a dei genitori intenzionali che lo hanno fortemente voluto e grazie anche alla famiglia della gestante che crea lo spazio necessario affinché questa nascita avvenga. E’ un grembo simbolico forse azzardato, o forse semplicemente bello, ricco di relazioni inedite e vitali.
Preoccuparci del benessere del nascituro è primario, ma cerchiamo di non dare per scontato di sapere già tutto.
Nel mondo in cui viviamo, occorre dare risposte ragionevoli al mondo che cambia, senza arroccarsi su concetti prêt-à-porter, senza tagliare le cose con la motosega dell’ideologia.  La biotecnologia è una forza possente, con il suo strapotere economico, le sue promesse, le sue chimere, i suoi grandi benefici e i suoi grandi rischi. La trasformazione in atto è irrevocabile, e riguarda il modo in cui si viene al mondo, l'immagine di famiglia e il concetto stesso di filiazione. Non dobbiamo accettare tutto passivamente e incondizionatamente, né possiamo tornare indietro. Possiamo solo provare a imparare a lavorare insieme a questa forza, anziché contrastarla.
Spostare i limiti procreativi può consegnarci nelle fauci ingorde delle biotecnologie, ma può anche portare gioia, piacere, amore, e incoraggiare nuove consapevolezze. Continuiamo a interrogarci su come salvaguardare il benessere delle donne, degli uomini, dei bambini e delle bambine, ma cerchiamo di adottare un pensiero ospitale e lasciamoci toccare dalle storie delle singole persone di questa commovente umanità fragile e pur sempre piena di speranza.




[1] Dati ONU (Department of Economic and Social Affairs
[2] Dati European Society of Human Reproduction and Embryology
[3] Barbara Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico, 1994
[4] Duccio Demetrio e Francesca Rigotti, Senza figli, una condizione umana, 2012
[5] Dati Istituto Superiore di Sanità, Registro Nazionale PMA
[6] Loredana Lipperini, Di mamme ce n’è più d’una, 2013
[7] Alessandra Bocchetti, Maternità surrogata, la 27esima Ora, 5 gennaio 2016
[8] Claudio Rossi Marcelli, Hello daddy!, 2011
[9] Delphine Lanson, Naître père, 2013
[10] www.surromomsonline.com

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